Il mio destino, fino all’ultima tappa, fino alla croce tombale,
è di discutere fino alla raucedine (seguita poi dal mutismo),
Di cercare di convincere, di dimostrare, con la bava alla bocca,
Che tutto ciò non è affatto così, che non è quello, che non è quella!
Che gli ipocriti mentono, a proposito degli errori di Cristo,
Che la lapide non si è ancora assestata nella terra.
Trecento anni sotto il giogo dei tartari - che razza di vita!
Trecento anni di strazio e di povertà.
Ma sotto il potere dei tartari ha vissuto Ivan Kalita1,
E non c’era solo lui, di quelli che sono uno contro cento.
Il sudore dei buoni propositi e l’inutilità delle rivolte,
L’insurrezione di Pugačëv, il sangue e ancora la povertà...
Anche se non da subito, anche se all’inizio non capiranno un corno,
Ripeterò, perfino facendo il pagliaccio cattivo.
Ma non ne vale la pena, e comunque l’argomento non è quello:
Vanità delle vanità - è sempre vanità.
Solo che non ce la faccio a bere il calice, correndo,
E anche se lo versassi in terra - non posso comunque!
O forse dovrei gettarlo direttamente sulla faccia di bronzo del nemico?
Non faccio scenate, non mento - semplicemente non posso!
Su un cerchio rotante liscio e scivoloso
Sto cercando di mantenere il mio equilibrio, mi piego ad arco!
Ma che cosa faccio con il calice?! Lo rompo? - Non posso!
Resisterò e aspetterò che arrivi qualcuno che ne sia degno.
Gli passerò il calice - e non dovrò più mantenermi nel cerchio,
Anche nel buio pesto, anche nella nebbia fittissima.
E dopo il trasferimento del calice all’amico, scapperò!
E non avrò modo di sapere, se lui sarà riuscito a berlo.
Io pascolo nel prato, insieme a coloro che hanno abbandonato il cerchio,
E qui non faccio alcun accenno al calice non bevuto, acqua in bocca!
Non lo dirò a nessuno, sarà il mio segreto,
Altrimenti, se ne parlassi - sul prato mi calpesterebbero.
Ragazzi, mi sto dando da fare per voi, fin quasi a vomitare per lo sforzo,
Forse qualcuno prima o poi accenderà un cero per me,
Per il mio nervo scoperto, su cui urlo,
Per il mio modo allegro di scherzare...
Anche se mi promettono il broccato d’oro
Oppure se minacciano di farmi il malocchio - non voglio!
Su un nervo indebolito non potrò risuonare -
Allora me lo stringerò, me lo rinnoverò, me lo riavviterò!
Piuttosto farò baldoria, mi ubriacherò, mi drogherò,
Tutto ciò che scribacchio di notte - lo straccerò nell’obnubilamento,
Piuttosto torcerò il collo alla mia canzone,
Ma non farò la fine della polvere che scivola lungo il raggio!
...E se comunque il mio destino è di bere il calice,
Se la musica e la canzone non sono troppo rozze,
Se di colpo riuscirò a dimostrare, anche con la bava alla bocca,
Io me ne andrò e dirò che non tutto è vanità!
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